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Erba, poeta «facile» e ribelle con il cuore fra le nuvole

Recensione di: L’ippopotamo
30.09.2022
L’ippopotamo Da "Il Giornale", Davide Brullo su L'ippopotamo di Luciano Erba

«Luciano Erba mi è sempre parso uno che, per vezzo d'elusione, scombinava le tracce, disseminava fraintesi. Dietro il «tranquillo epigonismo» (Pier Vincenzo Mengaldo) di «un perfetto, magnifico "minore"» (Daniele Piccini), ascritto a una fatua «linea lombarda», intravedi il sovversivo, l'uomo che tra ombre e sorrisi origlia un agguato. In una poesia, Autoritratto, si diceva «ladro di polli/ con gli occhi oggi ancora sprovveduti», «quello che andava per ciliegie/ e a mani vuote/ strappava al tronco nastri di corteccia». Piuttosto, va visto, Erba, come l'esimio brigante, il cacciatore di angeli e morgane, il sonnambulo che «nei prati gialli fuori città» riconosceva «un'Africa immaginata» (Lo svagato), e cintato nel pudore offre una cesta fitta di cobra.».

L’ippopotamo

di Luciano Erba

editore: Interlinea

pagine: 208

Nel centenario di Luciano Erba (1922-2010), poeta appartato eppure tra i più importanti del Novecento, è proposta un’edizione commentata dell’opera più celebre, L’ippopotamo (premio Librex-Guggenheim-Montale), perché «forse la galleria che si apre / l’ippopotamo nel folto della giungla / per arrivare al fiume, ai curvi pascoli» rappresenta l’emblema della ricerca umana, tra natura, attese e sogni. In questi testi Erba predilige una poesia di piccole cose quotidiane per parlare dei grandi interrogativi dell’esistenza e della vita civile, nel dubbio (metafisico e aperto alla speranza) che «forse questo e qualsiasi tracciato… / altro non sono / che eventi privi d’ombra e di riflesso / soltanto un segno che segna se stesso».

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