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E' religiosissimo e dolente questo "Nosgnor" (Interlinea) sillabato in sonetti da Giovanni Tesio, che ormai ci ha abituati a questa misura del canto e del ritmo. In italiano non sarebbe davvero la stessa cosa, anzi non sarebbe proprio. Non sarebbe così concreta, aspra e ruvida la voce che s'alza verso un cielo forse vuoto o forse no. Una voce è appuntita come l'ago che prova a bucare il silenzio, quell'immensità muta, forse indifferente a tutti noi che qui sotto gemiamo, in queste ore poi.
Se Sant'Agostino sostiene che la preghiera è più nel lamento che nella parola, più nelle lacrime che nelle frasi, questo canzoniere di Tesio è un perfetto pregare. "E lassme sol (…) ch'i peussa sente mèj ch'it ses mè sol": e lasciami solo, che possa sentire meglio che sei il mio sole". La stessa parola per dire sole e solo, ecco perché questo libro si poteva scrivere soltanto in piemontese.
E' un canto rivolto a un Dio che sfugge, quello che Giovanni Tesio intreccia con i dubbi e il cammino di tutta una vita, con sentimento umile d'inadeguatezza e dunque raddoppiato bisogno di Lui, in fondo anche il Ladrone sul Golgota, non quello buono, era un Suo frutto. E non manca allegria, c'è confidenza in questo confidare e affidarsi al Dio degli spaventati e delle "frise", noi che siamo briciole. A questo Signore nostro si può parlar chiaro, si deve dire la verità. Eppure non è un parlar soli, il parlare al sole. Se tutt'altro che saldo è il cuore che innalza inni sacri di miseria e dubbio, più si spalanca il vuoto e più la pienezza del bisogno di Dio si fa carne: e chissà che alla fine Dio non sia proprio il corpo e il sangue di questo nostro bisogno. Di più non è dato sapere, sarebbe presunzione, sarebbe fretta: e invece se hai la fede devi stare calmo, devi aspettare. E se non l'hai vorresti averla; e in questo volerla, eccola, la fede, non lo sapevi e già stavi pregando. "La sponda, conosce del mare soltanto l'onda". Siamo pezzi piccolissimi, combattiamo il male dentro da ben più tempo che questo nuovo male ci entrasse dentro, e non c'è vaccino, non c'è rimedio, vorremmo solo la misericordia di un segno. Ma siamo noi, quel segno. Altrimenti che ci faremmo qui?, sembra dirci il poeta. Perché alla fine è sempre una questione di speranza, forse cominciamo a capirlo nel buio di questa prova più dolorosa, noi che non avemmo mai guerra o fame o reclusione o carestia. Noi, fino a ieri sempre salvati, mai sommersi e adesso chissà. Nell'attesa, forse Nosgnor potrà dirci qualcosa dal suo cielo muto, tutto il contrario di questa Terra che urla e geme. "Na copa 'd tòsse për fé che l'amel/doman torna a viresse 'n lus ëd cel/e a dene 'l nonsi 'd gòj, ëd bòt an blan". Un calice di tossico per fare che il miele/domani torni a voltarsi in luce di cielo/e a darci l'annuncio di gioia, all'improvviso.
Maurizio Crosetti, 30 marzo 2020
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