#botta&risposta: Lanza tra ‘rasoterra’ ed epica
«Partirei dalla critica che mi muovi verso la fine della tua nota, quella in merito alla mancata caratterizzazione dei clienti, perché la tua considerazione mi riporta indietro all’estate del 2013, quando ho avuto l’idea di scrivere di Etnapolis. Cominciavo già a raccogliere appunti, organizzavo le idee, pensavo a come sistemarle in un progetto. Un giorno, sedendo su una panchina del centro commerciale, mi ero imposto di guardare la folla degli avventori. Al contrario di quanto mi sarei aspettato da quell’esperimento, l’impressione che ne avevo avuta non era quella di folla anonima, dagli occhi vuoti, monodiretta perché profondamente narcotizzata da Etnapolis. Quello che avevo osservato era invece più mobile, più complesso. I miei appunti, infatti, abbondavano di dettagli. La mia idea iniziale era in sostanza sbagliata perché semplificatoria. Quando il progetto del libro cominciava a diventare più chiaro e si faceva sempre più irrinunciabile l’idea dei diversi personaggi che proprio perché chiamati per nome avrebbero giocoforza avuto maggiore visibilità rispetto al resto, ecco che per descrivere la folla mi sono servito di quegli appunti, tutta una serie di dettagli che dovevano restituirle movimento e vita, sottrarla se non proprio all’anonimato, almeno a un rinunciatario, indifferenziato e ideologico piatto grigiore.»
Suite Etnapolis
di Antonio Lanza
editore: Interlinea
pagine: 128
Quando la poesia nasce da un centro commerciale.
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