Cesare Angelini
Cesare Angelini nasce ad Albuzzano (Pavia) nel 1886, sesto e ultimo figlio di Giovanni Battista, fattore e camparo d’acque, e di una Maria Maddalena Bozzini «bella come la Madonna del Carmine onorata in chiesa». La realtà contadina della Bassa pavese costituirà sempre il suo paesaggio dell’anima e, con la fede semplice della famiglia, il fondamento della sua personalità umana e letteraria.
Studia al Seminario di Pavia, retto da Giovanni Cazzani («un uomo straordinario, che, se lo Spirito Santo non l’avesse distratto verso l’amministrazione delle diocesi... avrebbe rivelato la sua personalità di scrittore, che riuniva in sé la genialità di un De Sanctis e la quadratura culturale di un Benedetto Croce»). Cazzani è suo docente di Italiano al liceo prima di essere nominato vescovo a Cesena, dove Angelini – ordinato sacerdote a Pavia nel 1910 da monsignor Francesco Ciceri – lo seguirà come segretario particolare.
Qui frequenta Renato Serra, direttore della Biblioteca Malatestiana, che gli riconosce «una svagata passioncella per le lettere» introducendolo in riviste come “La Romagna” e soprattutto “La Voce”, fondata a Firenze nel 1908 da Prezzolini e Papini e aperta ai più innovativi stimoli culturali del tempo. Angelini collabora alla cosiddetta “Voce” bianca diretta (1914-1916) da Giuseppe De Robertis secondo un taglio prevalentemente artistico-letterario. Vi pubblica nel 1915 gli articoli Pascoli moderno e Pascoli e Croce, in cui prende le distanze dall’impostazione critica crociana, allora egemone. Nello stesso anno, caduto in guerra l’amico Serra, gli dedica – sempre sulla rivista fiorentina – l’articolo Il primo critico puro. È l’inizio di quello che Contini definirà il «postumo sodalizio» di Angelini con Renato Serra (su cui cfr. gli scritti raccolti in Notizia di Renato Serra, 1968).
Nell’estate del 1915 torna nel Pavese, stabilendosi a Torre d’Isola dove aiuta il fratello parroco nella cura d’anime. Nel 1916 è chiamato alle armi, diventando cappellano degli Alpini. Nel gennaio 1918 incontra in Val Braulio Tommaso Gallarati Scotti e Carlo Linati. Finita la guerra, presta servizio prima in Alto Tirolo e poi in Albania, dove conosce il gran Muftí di Antivari, cui dedicherà uno scritto memorabile per serenità ecumenica.
Di nuovo a Pavia, alterna l’insegnamento in Seminario con la cura d’anime a Torre d’Isola. Dal 1920 collabora con “Il Convegno” di Enzo Ferrieri e poi, su suggerimento di Papini, si occupa in prima persona di due riviste milanesi legate all’Opera Cardinal Ferrari: “La Festa” e “Il Carroccio”. Ma più tardi la sua firma comparirà in quotidiani come “Il Resto del Carlino” e, dopo l’ultima guerra, “Il Corriere della sera”. Escono intanto i suoi primi libri: Il lettore provveduto (1923), Il dono del Manzoni (1924) e Commenti alle cose (1925), nei quali rivela già buona parte del suo mondo poetico. Ne seguiranno molti altri, tra cui anche alcune antologie scolastiche. Intanto, la sua geografia rimane sempre quella della Bassa con l’eccezione di un paio di pellegrinaggi in Terrasanta, pia concessione a un fascino esotico cui il provinciale Angelini non era insensibile (su questi l’Invito in Terrasanta del 1937).
Sul finire degli anni trenta collabora – da impolitico qual era – a “Il Popolo d’Italia”, l’organo del Partito Nazionale Fascista, e anche a “Primato”, la rivista aperta anche ad antifascisti fondata dal gerarca “critico” Giuseppe Bottai. Su interessamento dello stesso Bottai, nel 1939 viene nominato per «chiara fama» rettore dell’Almo Collegio Borromeo, fondato da san Carlo a Pavia nel cinquecentesco palazzo del Pellegrini. Vi rimarrà sino al 1961, ospitando per incontri e conferenze i più bei nomi della cultura del secolo: tra gli altri Marinetti, Croce, Papini, Cecchi, Bacchelli, Montale, Russo, Bo, Prezzolini, Contini, Ungaretti, Quasimodo.
In Borromeo crea nel 1946 i “Saggi di umanismo cristiano”, compiuta realizzazione di un’idea di rivista che riconosce fondamenti cristiani anche in espressioni culturali non confessionali. Supera i confini della Bassa quasi solo per partecipare ai corsi della Pro Civitate Christiana, nell’amata Assisi, in uno spirito che anticipa i fermenti del Concilio Vaticano II (presenti del resto già nel suo maestro monsignor Cazzani). Alla città di san Francesco dedica alcune magnifiche prose distribuite in diversi volumi.
Ritiratosi dal Borromeo, affida l’ultima stagione creativa soprattutto alle edizioni di Vanni Scheiwiller, intonate per misura ed eleganza alle sue parole: un esempio per tutti Questa mia Bassa (e altre terre), uscito nel 1970.
Muore il 27 settembre 1976 e riposa nel cimitero di Torre d’Isola.
Tra i suoi libri, oltre ai citati, ne ricordiamo un paio di quelli che dimostrano la sua fedeltà a Manzoni: Capitoli sul Manzoni vecchi e nuovi (1966) e Variazioni manzoniane (1974). Si aggiungano Notizie di poeti (1942), con studi su Monti, Foscolo, Leopardi, D’Annunzio; la felicissima prova I frammenti del sabato, 1952 (che sin dal titolo riprende l’ispirazione frammentaria cara alla sua formazione nella “Voce” bianca); le poesie di Autunno (e altre stagioni), 1959. Tra i testi dichiaratamente sacri, va ricordato almeno La Madre del Signore (1958) un prezioso volume illustrato che reca la prefazione dell’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI. Si aggiungano i carteggi, un cui assaggio complessivo è nel volume I doni della vita (1985). Il suo carteggio con Gianfranco Contini è pubblicato da Interlinea: Critica e carità. Lettere (1934-1965), a cura di Gianni Mussini.
Ma una ricchissima ricognizione biobibliografica su Cesare Angelini è disponibile nel sito curato dal pronipote Fabio Maggi: www.cesareangelini.it
Titoli dell'autore
Critica e carità
Lettere (1934-1965)
di Cesare Angelini e Gianfranco Contini
editore: Interlinea
pagine: 144
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