Critica e carità

titolo | Critica e carità |
sottotitolo | Lettere (1934-1965) |
autori | Cesare Angelini, Gianfranco Contini |
curatori | Fabio Maggi, Gianni Mussini |
presentazione di | Carlo Carena |
Argomento | Letteratura (narrativa, poesia, saggistica...) Epistolari |
Collana | Biblioteca letteraria dell'Italia unita, 30 |
marchio | Interlinea |
Editore | Interlinea |
Formato |
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Pagine | 144 |
Pubblicazione | 2021 |
ISBN | 9788868573843 |
Le lettere tra Gianfranco Contini e Cesare Angelini in questo volume a cura di Gianni Mussini hanno l’inizio «nel giugno del ’34, con un incontro mancato fra i due a Pavia, e l’estinzione nel maggio del ’60, dopo una quarantina di documenti, depauperati dal saccheggio fascista della casa dell’ossolano nel ’44. Inizia, come osserva Mussini, con l’atteggiamento di un discepolo che cerca incoraggiamenti e consigli, e termina con due note inaspettate di entrambi in due lettere che s’incrociarono, in cui il sacerdote ripete allo studioso quanto gli espresse in un incontro il giorno precedente a Pavia, “il senso di un’amicizia ritrovata, e – perché no? – d’una consolante somiglianza d’anima”» (dalla presentazione di Carlo Carena).
Biografia degli autori
Cesare Angelini
Cesare Angelini nasce ad Albuzzano (Pavia) nel 1886, sesto e ultimo figlio di Giovanni Battista, fattore e camparo d’acque, e di una Maria Maddalena Bozzini «bella come la Madonna del Carmine onorata in chiesa». La realtà contadina della Bassa pavese costituirà sempre il suo paesaggio dell’anima e, con la fede semplice della famiglia, il fondamento della sua personalità umana e letteraria.
Studia al Seminario di Pavia, retto da Giovanni Cazzani («un uomo straordinario, che, se lo Spirito Santo non l’avesse distratto verso l’amministrazione delle diocesi... avrebbe rivelato la sua personalità di scrittore, che riuniva in sé la genialità di un De Sanctis e la quadratura culturale di un Benedetto Croce»). Cazzani è suo docente di Italiano al liceo prima di essere nominato vescovo a Cesena, dove Angelini – ordinato sacerdote a Pavia nel 1910 da monsignor Francesco Ciceri – lo seguirà come segretario particolare.
Qui frequenta Renato Serra, direttore della Biblioteca Malatestiana, che gli riconosce «una svagata passioncella per le lettere» introducendolo in riviste come “La Romagna” e soprattutto “La Voce”, fondata a Firenze nel 1908 da Prezzolini e Papini e aperta ai più innovativi stimoli culturali del tempo. Angelini collabora alla cosiddetta “Voce” bianca diretta (1914-1916) da Giuseppe De Robertis secondo un taglio prevalentemente artistico-letterario. Vi pubblica nel 1915 gli articoli Pascoli moderno e Pascoli e Croce, in cui prende le distanze dall’impostazione critica crociana, allora egemone. Nello stesso anno, caduto in guerra l’amico Serra, gli dedica – sempre sulla rivista fiorentina – l’articolo Il primo critico puro. È l’inizio di quello che Contini definirà il «postumo sodalizio» di Angelini con Renato Serra (su cui cfr. gli scritti raccolti in Notizia di Renato Serra, 1968).
Nell’estate del 1915 torna nel Pavese, stabilendosi a Torre d’Isola dove aiuta il fratello parroco nella cura d’anime. Nel 1916 è chiamato alle armi, diventando cappellano degli Alpini. Nel gennaio 1918 incontra in Val Braulio Tommaso Gallarati Scotti e Carlo Linati. Finita la guerra, presta servizio prima in Alto Tirolo e poi in Albania, dove conosce il gran Muftí di Antivari, cui dedicherà uno scritto memorabile per serenità ecumenica.
Di nuovo a Pavia, alterna l’insegnamento in Seminario con la cura d’anime a Torre d’Isola. Dal 1920 collabora con “Il Convegno” di Enzo Ferrieri e poi, su suggerimento di Papini, si occupa in prima persona di due riviste milanesi legate all’Opera Cardinal Ferrari: “La Festa” e “Il Carroccio”. Ma più tardi la sua firma comparirà in quotidiani come “Il Resto del Carlino” e, dopo l’ultima guerra, “Il Corriere della sera”. Escono intanto i suoi primi libri: Il lettore provveduto (1923), Il dono del Manzoni (1924) e Commenti alle cose (1925), nei quali rivela già buona parte del suo mondo poetico. Ne seguiranno molti altri, tra cui anche alcune antologie scolastiche. Intanto, la sua geografia rimane sempre quella della Bassa con l’eccezione di un paio di pellegrinaggi in Terrasanta, pia concessione a un fascino esotico cui il provinciale Angelini non era insensibile (su questi l’Invito in Terrasanta del 1937).
Sul finire degli anni trenta collabora – da impolitico qual era – a “Il Popolo d’Italia”, l’organo del Partito Nazionale Fascista, e anche a “Primato”, la rivista aperta anche ad antifascisti fondata dal gerarca “critico” Giuseppe Bottai. Su interessamento dello stesso Bottai, nel 1939 viene nominato per «chiara fama» rettore dell’Almo Collegio Borromeo, fondato da san Carlo a Pavia nel cinquecentesco palazzo del Pellegrini. Vi rimarrà sino al 1961, ospitando per incontri e conferenze i più bei nomi della cultura del secolo: tra gli altri Marinetti, Croce, Papini, Cecchi, Bacchelli, Montale, Russo, Bo, Prezzolini, Contini, Ungaretti, Quasimodo.
In Borromeo crea nel 1946 i “Saggi di umanismo cristiano”, compiuta realizzazione di un’idea di rivista che riconosce fondamenti cristiani anche in espressioni culturali non confessionali. Supera i confini della Bassa quasi solo per partecipare ai corsi della Pro Civitate Christiana, nell’amata Assisi, in uno spirito che anticipa i fermenti del Concilio Vaticano II (presenti del resto già nel suo maestro monsignor Cazzani). Alla città di san Francesco dedica alcune magnifiche prose distribuite in diversi volumi.
Ritiratosi dal Borromeo, affida l’ultima stagione creativa soprattutto alle edizioni di Vanni Scheiwiller, intonate per misura ed eleganza alle sue parole: un esempio per tutti Questa mia Bassa (e altre terre), uscito nel 1970.
Muore il 27 settembre 1976 e riposa nel cimitero di Torre d’Isola.
Tra i suoi libri, oltre ai citati, ne ricordiamo un paio di quelli che dimostrano la sua fedeltà a Manzoni: Capitoli sul Manzoni vecchi e nuovi (1966) e Variazioni manzoniane (1974). Si aggiungano Notizie di poeti (1942), con studi su Monti, Foscolo, Leopardi, D’Annunzio; la felicissima prova I frammenti del sabato, 1952 (che sin dal titolo riprende l’ispirazione frammentaria cara alla sua formazione nella “Voce” bianca); le poesie di Autunno (e altre stagioni), 1959. Tra i testi dichiaratamente sacri, va ricordato almeno La Madre del Signore (1958) un prezioso volume illustrato che reca la prefazione dell’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI. Si aggiungano i carteggi, un cui assaggio complessivo è nel volume I doni della vita (1985). Il suo carteggio con Gianfranco Contini è pubblicato da Interlinea: Critica e carità. Lettere (1934-1965), a cura di Gianni Mussini.
Ma una ricchissima ricognizione biobibliografica su Cesare Angelini è disponibile nel sito curato dal pronipote Fabio Maggi: www.cesareangelini.it
Gianfranco Contini
Gianfranco Contini nasce a Domodossola il 4 gennaio 1912 da Riccardo, ferroviere originario di Chiari (Brescia) e dalla maestra elementare Maria Cernuscoli, di Rivolta d’Adda (Cremona).
Dopo gli studi liceali al Collegio Mellerio-Rosmini, nella città natale, passa all’Università di Pavia, dove è ospite del Collegio Ghislieri e conosce Cesare Angelini (le lettere fra i due sono contenute nel volume Critica e carità. Lettere (1934-1965), a cura di Gianni Mussini, Interlinea 2021). Si laurea in Lettere con una tesi su Bonvesin da la Riva, discussa con il filologo romanzo Pietro Ciapessoni, perfezionando poi i suoi studi con Santorre Debenedetti a Torino, dove frequenta la cerchia della casa editrice Einaudi (proprio con Giulio Einaudi pubblicherà nel 1939 un’innovativa edizione critica delle Rime di Dante).
Insegna per qualche tempo al Liceo classico Mariotti di Perugia (la città del «religioso laico» AldoCapitini da cui Contini trarrà ispirazione per le sue future scelte politiche) e compie nel biennio 1934-1936 un periodo di perfezionamento alla scuola del filologo romanzo Joseph Bédier, a Parigi.
È in relazione con Gadda e Montale, dei quali contribuisce a comprendere e valorizzare l’opera, così come riconosce quella di un «maestro in ombra» quale Clemente Rebora, sacerdote rosminiano e suo docente al liceo. Ma sarà amico di altri grandi protagonisti del secolo letterario come Bacchelli, Cecchi, Pasolini. E giungerà a promuovere anche un outsider come Antonio Pizzuto.
Ha un incarico all’Accademia della Crusca e un insegnamento di letteratura francese, a Pisa. Ma nel 1938 è chiamato nella svizzera Friburgo, dove terrà la cattedra di Filologia romanza sino al 1952 essendo maestro, tra gli altri, di Dante Isella e D’Arco Silvio Avalle (rifugiati di guerra), oltre che dei ticinesi Giorgio Orelli, Romano Broggini e Giovanni Pozzi.
Nel 1944 partecipa all’esperienza della Repubblica partigiana dell’Ossola (10 settembre-23 ottobre), nel cui governo provvisorio diventa una sorta di ministro della Pubblica Istruzione, contribuendo a redigere un’ambiziosa riforma dei programmi scolastici. La sua visione politica si ispira a un liberalsocialismo di impronta azionista e non dimentico della giovanile formazione rosminiana.
Dal 1952 Gianfranco Contini è a Firenze, ancora sulla cattedra di Filologia romanza prima nella facoltà di Magistero e poi a Lettere (non manca di insegnare per qualche tempo anche Lingua e Letteratura spagnola). Passa quindi alla Scuola Normale di Pisa (1973-1982), dove concluderà la sua esperienza di insegnamento. Sono questi i decenni della sua consacrazione accademica: tra il resto è socio dei Lincei dal 1962, presiede la Società Dantesca Italiana (dirigendo la rivista “Studi danteschi”) ed è responsabile del Centro di filologia dell’Accademia della Crusca.
Negli anni ottanta, anche per l’aggravarsi delle condizioni di salute (un ictus lo aveva colpito già nel 1970), si ritira nella sua casa di San Quirico sopra Domodossola, dove muore il primo giorno di febbraio del 1990. Dopo messa funebre in gregoriano, officiata dal rosminiano padre Franco Giovannini, viene sepolto nel cimitero di Domodossola.
Quale il suo portato nella filologia e nella critica del Novecento? Smarcandosi dalle posizioni del suo maestro Bédier e facendo tesoro degli insegnamenti del filologo classico Giorgio Pasquali, Contini si ispira al metodo del tedesco ottocentesco Karl Lachmann che, di un testo, sceglie la lezione più vicina all’originale interrogando le diverse varianti disponibili (il complesso delle riflessioni di critica testuale continiane è raccolto nelBreviario di ecdotica, 1986). Ma Contini integra il metodo lachmanniano sul piano dell’interpretazione, dove attualizza la critica stilistica di Leo Spitzer e si apre anche alla linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure.
In particolare, Contini è il vero padre della critica delle varianti, studiate come sistema dinamico e non come reperti fini a se stessi: la «critica degli scartafacci» (questo un suo famoso scritto che riprendeva in modo antifrastico – ma non polemico – una definizione di Benedetto Croce) porta infatti all’intelligenza profonda del testo e alla percezione del suo stesso valore artistico. Un metodo che Contini applicò ad Ariosto, Petrarca, Manzoni, Leopardi, e persino a Proust e Mallarmé (utili esempi in Varianti e altra linguistica, 1970).
La sua attenzione al dato linguistico lo portò a confrontarsi con il filone espressionistico presente nella letteratura italiana, documentato esemplarmente nell’Introduzione alla Cognizione del dolore gaddiana (1963) e perseguito in diversi dei suoi fondamentali Esercizî di lettura (19742). Non per caso sarà affidata a lui la voce Espressionismo dell’Enciclopedia del Novecento della Treccani (II, Roma 1977).
Contini fu decisivo anche per il modo nuovo con cui concepì la storia letteraria, considerando prima di tutto le opere degli scrittori nelle loro implicazioni filologiche, linguistiche e stilistiche. Di qui l’antologia dei Poeti del Duecento (1960), che fece da modello anche per le successive prove, a partire dalla Letteratura dell’Italia unita (1968).
Approfondimenti generali sulla sua figura nella scheda monografica curata da Paola Italia per il DBI-Dizionario Biografico degli Italiani (2013), disponibile anche on line. Sulla metodologia critica cfr. in particolare i Frammenti di filologia romanza curati da Giancarlo Breschi (2007), autore anche della fondamentale bibliografia L’Opera di Gianfranco Contini (2000). Sulla vita infine cfr. i volumi Diligenza e voluttà (1989)e Una biografia per immagini (2012), curati rispettivamente da Ludovica Ripa di Meana e Pietro Montorfani.
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