Uno dei temi più cari di papa Francesco è stato la tenerezza, cui è dedicato il piccolo libro ricco di grandi valori da lui firmato e uscito nell’anno dell’ascesa al soglio pontificio, il 2013, nella collana “Nativitas” di Interlinea, Dacci la grazia della tenerezza, a cura di Marco Andreolli e Valerio Rossi con la traduzione di Marina Vaggi.
In copertina c’è una bellissima fotografia del pontefice che bacia un piccolo e in effetti Bergoglio sino alla fine non ha mai smesso di abbracciare e baciare i bambini di tutto il mondo, emblema della fragilità e purezza dell’umanità.
Per ricordare papa Francesco all’Indomani della scomparsa pubblichiamo un brano del libro, disponibile anche in versione digitale e-book pdf in offerta speciale.
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La grazia di partecipare generosamente di quell’amore che spinse suo Figlio Gesù a concedersi alla morte per dare la vita a noi.
La grazia di far nostro il messaggio evangelico, di far nostro il cammino che Gesù intraprese. Dare la propria vita perché noi ricevessimo vita, rinnegare se stesso per noi. Un cammino per nulla facile, che lo ha portato su faticosi sentieri di incomprensioni, persecuzioni, angosce. In questo passo che abbiamo appena ascoltato [Gv 12,20-33], Gesù dice: «La mia anima adesso è triste, ma sono venuto per questo». E qui si proietta quel turbamento, quella tristezza, quell’angoscia del cuore di Gesù, quella solitudine enorme provata nell’Orto degli Ulivi che gli fa sudare sangue. E tutto ciò per noi, perché riceviamo vita… e vita in abbondanza. E perché non abbiamo dubbi che questo è il cammino da seguire, e nessun altro, ci parla del chicco di grano: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, non dà frutto.
E ci dice che attirerà a sé tutti gli uomini quando sarà innalzato, cioè quando pagherà con la propria vita il nostro riscatto. Ovviamente siamo di fronte al mistero più grande: Dio che si fa uomo, che assume la nostra condizione umana per rimettere i nostri debiti, per difendere la nostra vita, per darci la vita. E questa è la strada giusta per prendersi cura della vita: donare la propria. Chi è troppo attaccato alla propria vita la perderà, chi non è legato alla sua vita terrena la conserverà per l’eternità.
L’egoismo ci spinge ad attaccarci alla nostra vita personale, fino al punto di dissimulare i pericoli o le ingiustizie che riguardano altre vite, vite in cammino, vite che stanno per venire al mondo, vite che stanno crescendo e che corrono il rischio di cadere nelle mani di chi potrebbe deformarne il cuore.
La vita dei nostri bambini, la vita dei nostri giovani, vite che cominciano a lavorare e devono imparare a cavarsela nelle difficoltà senza svendere la propria coscienza, vite che dobbiamo accompagnare e alle quali dobbiamo insegnare a non vendersi. Ci sarà sempre una bustarella tentatrice che ci verrà offerta in cambio del nostro appoggio o di un nostro attimo di distrazione in cui guardare dall’altra parte. Vite che devono generare e lasciare in eredità valori, valori umani e valori divini. Vite che invecchiano in saggezza e che ci chiedono di prenderci cura di loro, di non abbandonarle, di non sbarazzarcene per levarcele di torno.
Prenderci cura della vita, ma solo come ha fatto Gesù. E prenderci cura della vita comporta prenderci cura gli uni degli altri, anche del più piccolino, che si vede solo in un’ecografia, anche del più anziano, pieno di saggezza per aver camminato e lavorato con dignità.
E anche prenderci cura della vita di chi ha deviato, non condannarlo, pregare per lui, fare penitenza per lui, chiedere la misericordia di Dio per lui.
Ci sono tanti Erode che non solo non si occupano della vita degli altri, ma la limitano, le tarpano le ali o la uccidono. Chiedere, pregare, tutto questo è morire a se stessi, perché la vita cresca negli altri, tutto questo è morire come ha fatto Gesù perché ci si possa prendere cura della vita.
Ascoltiamo la voce di Gesù nel Vangelo: chi è troppo attaccato alla propria vita la perderà. Prendersi cura della vita del fratello, prendersi cura della vita di qualunque essere umano presuppone sacrificio, croce, presuppone dimenticarsi di sé. Presuppone che ci venga concessa questa grazia. La chiediamo all’inizio della messa: «Padre, dacci la grazia di partecipare generosamente dell’amore che portò tuo Figlio a sacrificarsi per noi».
In questa messa chiediamo la grazia di prenderci cura gli uni degli altri, di prenderci cura della vita tutta, di impegnarci perché i tanti Erode che incontriamo nel corso della vita non ottengano ciò che vogliono; facilitiamo la fuga in Egitto per prenderci cura dei fratelli, dai più piccolini ai più anziani.
Chi ci dà un fulgido esempio di come bisognerebbe prendersi cura della vita è Lei, che si prese cura di Dio bambino e si prese cura di Dio inchiodato a una croce, rimanendo in piedi, con coraggio e generosità.
Madre, insegnaci a prenderci cura della vita.
[25marzo2012]
Da papa Francesco, Dacci la grazia della tenerezza, Interlinea
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