Una lirica è la sicurezza di un abbraccio
« Il modo in cui guardi il mondo è il modo in cui il mondo ti guarda, si dice. L'uomo, in effetti, è il suo sguardo e la sua voce, tanto quanto è i suoi silenzi. Ed è i suoi polpastrelli, la parte di sé con cui tocca l'altro. Ed è il suo udito, il suo olfatto, il suo gusto. Senza tutti i cinque sensi, e senza il sesto, e senza il settimo, che è l'andare, non c'è poesia, solo pensiero, riflessione o prova di abilità e bravura. Questo mi viene in mente dopo aver letto un breve saggio di Silvano Petrosino, docente di Filosofia della comunicazione a Milano, pubblicato da Interlinea, sul tema della parola e della responsabilità. A un certo punto nota: "Per comunicare bisogna imparare ad ascoltare, sempre e contemporaneamente, se stessi, l'altro e la realtà a cui ci si riferisce". Vale anche per lo scrivere, azione irrimediabile, traccia per il lettore. Ha più profondità e chiede più esattezza del dire, lo scrivere, ma poi è proprio al dire che approda. Soprattutto vale per la poesia, credo. Fare poesia è ascoltare e sondare se stessi, ascoltare e scoprire l'altro, ascoltare e cogliere ciò di cui si sta scrivendo per come lo si sta scrivendo: questo vuole dire entrare nell'intimo delle cose. »
Il miraggio dei social
Euforia digitale e comunicazione responsabile
di Silvano Petrosino
editore: Interlinea
pagine: 72
Oggi tutti vogliamo parlare, in continuazione e usando i social, ma il nostro “desiderio di comunicare” che cosa rappresenta davvero? Un filosofo amato dai giovani riflette sulla comunicazione al tempo del digitale e delle fake news. Silvano Petrosino parte dall’importanza delle parole e dei numeri nella nostra vita per sviluppare una riflessione originale e stimolante che arriva a chiedersi se, tra selfie e chat, il nostro desiderio di comunicare non sia piuttosto un desiderio di essere riconosciuti, creando un’incapacità all’ascolto che, nel “gorgo” della rete, diventa un atto morale quasi trasgressivo. Al centro sta la questione della responsabilità perché, come scrive Carver, «in definitiva le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste».
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