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Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager

Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager
Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager

Da oggi è possibile prenotare con il 15% di sconto L’allenatore ad Auschwitz. Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager di Giovanni Cerutti, la novità di Passio dedicata ad Árpád Weisz, in uscita a gennaio, in occasione della Giornata della Memoria.
L’ungherese Árpád Weisz, tra i più grandi allenatori degli anni trenta, colui che introdusse per primo gli schemi nel campionato italiano, fu commissario tecnico dell’Inter (dove scoprì Giuseppe Meazza) ma anche del Novara e del Bologna, fino all’espulsione dall’Italia, in seguito alle leggi razziali, e alla tragica fine nel lager di Auschwitz. La sua vicenda ha tratti non comuni che meritano di essere approfonditi. Queste pagine illuminano il periodo italiano ricostruendo con precisione il ruolo che ebbe Weisz nello sviluppo del “sistema”, che in quegli anni stava mutando definitivamente la fisionomia del calcio sullo sfondo dell’affermazione del professionismo. Una testimonianza e una riflessione sull’eredità della shoah e sull’importanza della memoria, che coinvolge nel dramma anche lo sport.

In anteprima l'introduzione del volume:

Le storie di Árpád.
Introduzione
La persecuzione e lo sterminio del popolo ebraico pianificati con lucida determinazione dai vertici dello Stato tedesco nel corso della seconda guerra mondiale hanno segnato la vita di milioni di europei, travolgendo l’idea stessa di umanità.
Nonostante sia opinione comune che si tratti di avvenimenti di un passato ormai remoto, senza più alcun legame con le questioni vitali del nostro tempo, quella tragedia continua a condizionare in profondità il nostro presente, lavorando incessantemente sottotraccia nelle pieghe vitali delle nostre società. Per quanto si continui a scandagliare, l’essenza di quello che è stato continua implacabilmente a sfuggirci, minando le nostre certezze e gettando un’ombra inquietante sulla fragilità della condizione umana. Tanto che il trascorrere degli anni continua a riportare alla luce nuovi frammenti della catastrofe, con un movimento inesorabile che ridefinisce continuamente la nostra consapevolezza. Frammenti lacerati, che stentiamo a ricomporre e che lasciano intravedere le vertiginose profondità dell’abisso che si è spalancato nel cuore dell’Europa.
La storia di Árpád Weisz è uno di questi frammenti. Tra i più grandi allenatori di sempre, la sua carriera si svolse in un momento di trasformazioni epocali, che mutarono la fisionomia del gioco del calcio, sia dal punto di vista tecnico sia da quello organizzativo. Arrivato giovanissimo alla ribalta nazionale, per oltre dieci anni Weisz partecipò da protagonista a questa fase di sviluppo, segnando con il suo lavoro e il suo talento l’evoluzione della disciplina. Ma, improvvisamente, per lo Stato italiano divenne soltanto un ebreo, anzi un ebreo straniero, e come tale fu costretto a lasciare il nostro Paese.
Non fu il solo a essere allontanato dall’Italia da quelle leggi profondamente ingiuste che hanno segnato irrimediabilmente la nostra storia. Qualche settimana dopo Weisz, anche l’allenatore del Torino Ernő Erbstein e l’allenatore della Triestina Jenő Konrad furono costretti ad abbandonare il campionato. Senza nessun clamore, senza nessuna protesta e senza nessuna presa di posizione. Senza articoli sui giornali e senza nessuna spiegazione. Dimenticati senza lasciare traccia, così come furono dimenticate le loro imprese passate. Il campionato continuò a scorrere senza scosse e i tifosi continuarono ad appassionarsi alle giocate dei loro campioni preferiti e a discutere animatamente di risultati e classifiche. E ancora oggi quello del 1938-39 viene considerato un campionato come un altro, vinto dal Bologna con 4 punti di vantaggio sul Torino.
Sradicati, loro malgrado, dalla rete di affetti e legami tessuta in oltre dieci anni di permanenza in Italia, Weisz e la sua famiglia si trovarono ad affrontare le maglie degli ingranaggi della macchina dello sterminio in un ambiente sconosciuto e improvvisamente ostile.
Nell’Europa dell’occupazione tedesca venivano violentemente ridefiniti i criteri di appartenenza alle compagini statali, imponendo con la forza le categorie forgiate dalle leggi di Norimberga del 1935.
Non più olandesi, ungheresi, italiani, francesi, polacchi, ma ebrei. Tranne rarissime eccezioni, tutte le società europee vennero lacerate dalla sfida posta dall’intolleranza e dal fanatismo dei nuovi dominatori, perdendo la capacità di mantenere fede alle proprie migliori tradizioni e finendo per adeguarsi rapidamente alla nuova realtà.
O forse continuiamo soltanto a illuderci che tolleranza e pluralismo fondino la capacità di costruire la convivenza civile nel nostro continente? Che rappresentino le migliori tradizioni della nostra Europa? In virtù delle quali Árpád Weisz era semplicemente un cittadino ungherese ben inserito nel Paese che aveva scelto per lavorare, discendente di una tradizione religiosa e culturale secolare cui forse guardava con progressivo disincanto, dotato di grande talento per allenare e impegnato a contribuire a fondare le basi teoriche dello sport che tanto lo affascinava?
È un fatto, un doloroso fatto, che oggi non si possa ricordare Weisz così come avrebbe meritato. Non possiamo restituirgli semplicemente i suoi meriti sportivi, ricostruire la sua carriera e studiare le sue innovazioni. Siamo costretti a ricordare che fu espulso, deportato e assassinato insieme a sua moglie Ilona e ai suoi bambini Roberto e Clara. Che queste morti sono state possibili nell’Europa del XX secolo, in società moderne e sviluppate. Soprattutto questo. Nella consapevolezza inaccettabile che i morti sono morti per sempre.

L’allenatore ad Auschwitz

Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager

di Giovanni A. Cerutti

editore: Interlinea

pagine: 128

Calcio e discriminazione: la storia di Árpád Weisz il grande allenatore degli anni trenta che scoprì Giuseppe Meazza, costretto dalle leggi razziali dai campi di calcio italiani al lager.

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