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Giovanni Tesio sul Coronavirus

Giovanni Tesio sul Coronavirus Giovanni Tesio sul Coronavirus
Giovanni Tesio sul Coronavirus

«Starsene qui in casa, senza potersi muovere… E ascolto il gran silenzio che mi consola»: Giovanni Tesio sul Coronavirus.

 

Nei giorni della chiusura delle librerie stava uscendo il nuovo libro di Giovanni Tesio. Nosgnor. Lamenti, preghiere e poesie in cerca di un Dio vicino e lontano, nella collana “Passio” (disponibile sui bookshop on line). L’autore ci ha mandato dei testi inediti ispirati all’emergenza sanitaria, in dialetto piemontese, con traduzione, che proponiamo ai nostri lettori del sito. Come scrive sant’Agostino, si prega «meglio coi gemiti che con le parole, più con le lacrime che con i discorsi». È allora possibile invocare un Dio di cui si sospetta l’assenza ma da cui si attende ostinatamente un segnale? Affidarsi a una disperata profezia d’esistenza che dissolva la propria voce in un silenzio assoluto? È la tensione di Giovanni Tesio che accoglie nel suo diario letterario Nosgnor la quotidianità più arida e disarmata convertendo l’assenza-presenza spirituale in una oralità povera, di antica e per questo dialettale, ma sempre nuova, risonanza: «qui c’è non altro che parole: parole che tentano se mai di dire un pianto».

 *

Starsene qui in casa

 
                     Stesne sì ‘n ca, sensa podej bogé
                     l’é nen na còsa ch’a fassa për mi
                     tutun im na ston bon, im na ston sì
                     e veuj nen lamenteme, veuj ciucé

                     ël pess e ‘l mej ‘d costa situassion,
                     e che sto pess a-i é, as discut nen,
                     ël mej l’é pì stërmà, dëscòst as ten
                     ma mi son can da trifole, ‘n vësson.

                     E scoto ‘l gran silense ch’am consola
                     e torno a fé dij gest pì lentament
                     e sgato drinta ‘d mi fin-a a la miola

                     e scheuvro l’armonia dla mia ment,
                     la duminica piantà ‘n tij mincadì, 
                     l’avans ëd cola pas ch’a deuv ëmnì. 

Traduzione
Starsene qui in casa, senza potersi muovere / non è una cosa che faccia per me / tuttavia me ne sto buono, me ne sto qui / e non voglio lamentarmi, voglio succhiare // il peggio e il meglio di questa situazione, / e che questo peggio c’è, non si discute, / il meglio è più nascosto, si tiene discosto / ma io sono cane da tartufi, un cane randagio. // E ascolto il gran silenzio che mi consola / e torno a fare dei gesti più lentamente / e frugo dentro di me fino alla midolla // e scopro l’armonia della mia mente, / la domenica piantata nel quotidiano, / l’anticipo di quella pace che deve venire. 

*

Inutile dire che siamo tutti uguali

                 A-j buto la coron-a ‘n su la testa
                 ma a l’é come la pest, com na tampesta
                 e a dësradisa j’òmo ch’as na van
                portà da cost orisse s’a l’é gram.

                Tutun a-i é chi a bala, chi as na sbat
                e a fa come se gnente lo tochèissa
                come se sòn për j’àit fùissa ch’a mnèissa 
                andotand na condòta ch’a-j dis mat.      

               Lo soma bin e nen da cost moment 
               he ‘n tl’òmo i é ‘d divers comportament      
               e che nen tuj a l’han d’inteligensa.      

                Inùtil dì ch’i soma tuj j’istess       
               përchè ij pòchi a san fé con cossiensa     
               ma ij pì a le betise a-j van dapress.

Traduzione
Le mettono la corona sulla testa / ma è come la peste, come la tempesta / e sradica gli uomini che se ne vanno / portati da questa bufera quant’è cattivo. // Tuttavia c’è chi balla, chi se ne impipa / e fa come se niente lo toccasse / come se questo fosse venuto solo per gli altri / adottando una condotta che lo dice matto. // Lo sappiamo bene e non da questo momento / che nell’uomo esistono comportamenti divers i/ e che non tutti hanno intelligenza. // Inutile dire che siamo tutti uguali / perché i pochi sanno agire con coscienza / ma i più agli sbagli vanno appresso.

 
*

Se c’è chi canta da balconi e finestre

 
                     S’a-i é chi a canta da pogieuj e fneste
                     i veuj pa dì ch’a l’abio nen le teste
                     combin ch’i treuva che fé festa ai mòrt
                     a sia ‘n po’ da mat o spirit fòrt.

                     La nav dij fòj ch’ambarca ‘l pess ëd noi
                     con l’ilusion ëd fé na còsa bon-a
                     e noi tuj lì a remé, o che brajoma,
                     për nen pensé che soma ‘n t’un garboj.

                     Mi penso ai mòrt ch’i peuss nen compagné
                     ai mòrt ch’a van da soj drinta la neuit
                     e a cole file ‘d bare sensa deuit.

                     E treuvo che al doman va bin pensé
                     e penso ch’a sia bel fin-a canté
                     ma riesso nen a varì ‘n mi col veuid.

 

Traduzione

Se c’è chi canta da balconi e finestre / non voglio dire che non abbiamo le teste / benché io trovi che far festa ai morti / sia un po’ da matti o da spiriti forti. // La nave dei folli che imbarca il peggio di noi / con l’illusione di fare una cosa buona / e noi tutti lì a remare, o che gridiamo, / per non pensare che siamo in un groviglio. // Io penso ai morti che non posso accompagnare / ai morti che vanno da soli nella notte / e a quelle file di bare senza grazia. // E trovo che al domani va bene pensare / e penso che sia bello anche cantare / ma non riesco a guarire in me quel vuoto.

                                      

 

Giovanni Tesio

Marzo 2020

Nosgnor

Lamenti, preghiere e poesie in cerca di un Dio vicino e lontano

di Giovanni Tesio

editore: Interlinea

pagine: 224

Un diario letterario di preghiera di Giovanni Tesio per invocare Dio attraverso la profonda semplicità della poesia dialettale: «qui c’è non altro che parole: parole che tentano se mai di dire un pianto».

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