Viviamo in un Paese che cronicamente non legge, e – quando lo fa – si limita ai bugiardini delle medicine o alle targhette degli ascensori, tenendosi lontano dai libri come da un pericoloso detonatore di esplosivi. L’Associazione degli Editori cerca di rimediare alla mala parata con un ottimismo sano e costruttivo: nel ricordarci ogni anno la penuria di lettori veri, festeggia aumenti dello 0,1% con comunicati pieni di entusiasmo, mentre è evidente a tutti che dovrebbe listarli a lutto, per quel numero perennemente fermo attorno a dati risibili. Eppure, nonostante tutto, sotto ogni latitudine italiana continuano a spuntare nuove sigle editoriali. Se alcune non ce la fanno e spariscono in breve, altre, più coriacee, resistono, resistono, resistono, e ogni tanto ci ricordano che sono lì, baluardi di cultura contro l’inverno dello spirito che temeva Marguerite Yourcenar.
Preambolo un po’ prolisso per dire quanto siamo contenti quando vediamo che una casa editrice coraggiosa, di nicchia, raggiunge un traguardo importante, e lo festeggia in qualche modo – di solito con un libro, altrimenti che marchio editoriale sarebbe? È quanto accade in questi giorni con la novarese Interlinea, che conclude le celebrazioni per i suoi 30 anni con un numero della rivista «Microprovincia» interamente dedicato alle sue pubblicazioni. Da quelle pagine, sul filo della memoria, ci saluta festoso il gruppo degli autori di quell’area piemontese che hanno dato luogo al piccolo miracolo, cui hanno partecipato con vario entusiasmo. Ecco l’ispido Sebastiano Vassalli, che giudica l’editore «piccolo ma di grande animo»; l’accademico Giovanni Tesio, che ne elogia «la dedizione e la resistenza». E poi due grandi vecchi della cultura nazionale, purtroppo scomparsi da poco, a un’età più che venerabile che pure li vedeva ancora nel pieno dell’attività intellettuale: il filologo Carlo Carena, che riconosce a Interlinea la capacità di «dar luogo, con costanza e attenzione, secondo una tradizione insita nella storia dell’editoria, a edizioni che altrimenti non riuscirebbero a veder la luce» e Gian Carlo Ferretti, maestro degli studi sull’editoria, che al marchio novarese ha affidato molte decine dei libri che hanno illuminato la sua terza età.
Che tutto questo sia capitato in una piccola zona tutto sommato periferica per la cultura nazionale di per sé è già un discreto miracolo; e ancor di più se si sfoglia il catalogo di questi trent’anni, che comprende poeti di prima grandezza come Montale o Heaney, insieme a Franco Loi o padre Davide Turoldo; per non parlare di Clemente Rebora, nume tutelare della casa, che lo pubblica praticamente in esclusiva. Eccelle la collana «Nativitas», che dalla fondazione accompagna ogni anno il nostro Natale con titoli che spaziano tra campioni del laicismo come Dostoevskij fino a papa Woityla o al cardinal Ravasi, firma illustre di queste pagine. Tutto questo in libretti in sedicesimo, agili, di un grigio vivace che scalda il colore caro alla Bur conferendogli una allegria a volte riscaldata dai disegni di maestri come Emanuele Luzzati. Un patrimonio di 1500 titoli, dovuti al lavoro di due persone: Carlo Robiglio per la parte organizzativa e Roberto Cicala per quella editoriale. Nei primi anni 90 erano due amici ventottenni; oggi che il tempo è passato anche per loro, consola constatare che le energie non se ne sono andate con i capelli. Chissà quanti altri conigli usciranno dal loro cilindro acquattato nel novarese.
In “Il Sole 24 ore”-“Domenica”, 18 febbraio 2024
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