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Laura Nay

Laura Nay
autore
Interlinea

Laura Nay insegna Letteratura Italiana e Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università di Torino. Si è occupata di vari autori novecenteschi, da Pirandello a Tomasi di Lampedusa, da Berto a Carlo Levi, da Sanguineti a Pavese. Su quest’ultimo, dopo aver curato insieme a Marziano Guglielminetti l’edizione del Mestiere di vivere condotta sull’autografo (1990, 2000), èritornatacon la curatela dei romanzi La casa in collina (2020) e Tra donnesole (in corso di stampa). Alla letteratura fra Settecento e Ottocento ha guardato in diverse monografie (fra le più recenti: La tirannide degli affetti. «Affetti naturali» e «affetti di libertà» nelle tragediealfieriane, 2017, Leggere l’Ottocento. Francesco De Sanctis e le«nude regole» della critica, 2021). È direttrice del Centro di Studi per la Storia dell’Università di Torino, condirige tre collane editoriali, fa parte del comitato scientifico del Centro Studi Interuniversitario Edoardo Sanguineti e dei comitati scientifici di “Sinestesie”, “Sinestesieonline”,“Transalpina” e della “Rivista di Storia dell’Università di Torino”.
Il saggio Dell’io prigioniero. Pirandello, Levi, Berto, Sanguineti prosegue l’indagine sull’io autoriale inaugurata con il volume del 2012 «Anime portentosamente multiple». Le strade dell’io nella narrativa moderna.

Titoli dell'autore

Dell’io prigioniero

Pirandello, Levi, Berto, Sanguineti

di Laura Nay

editore: Interlinea

pagine: 204

I quattro scrittori presi in esame, molto diversi fra loro, sono accomunati dall’inesausta ricerca di un indizio che permetta di non smarrirsi nel labirinto. Li unisce infatti una condizione di separatezza e di prigionia, che non necessariamente coincide con i muri di una cella ma che, pur sempre, si configura quale esperienza limite per un io che nella scrittura trova il modo per dare espressione a tale separatezza e contemporaneamente per mantenere vivo il rapporto – alle volte deformato, altre illusorio – con gli altri. Le loro opere diventano così il luogo dove poter sperimentare nuove forme di scrittura capaci di esprimere se stessi e il mondo, dove è consentito all’io prigioniero, per poter sopravvivere, dire di sé e tenere saldamente il filo che ancora lo lega a ciò che è stato, come a ciò che spera e vuole essere, ma soprattutto per imparare a conoscere la propria prigione.

Carmi e compasso

Giuseppe Zanoia abate, letterato e architetto (1752-1817)

a cura di Lino Cerutti, Valerio Cirio, Marziano Guglielminetti, Laura Nay

editore: Interlinea

pagine: 96

Quale importanza abbia avuto la persona e l'opera del canonico Zanoia, omegnese illustre, fra Settecento e Ottocento, in Milano, è più che sufficientemente documentato nei contributi raccolti in questo volume. Nei saggi qui pubblicati trovano pure ospitalità le necessarie carte d'archivio, utilizzate nelle rispettive zone di competenza. Il profilo del canonico risulta di tale varietà e di tale ricchezza, da consentirgli l'esercizio di operazioni letterarie ben differenti. Sempre l'autore vi porta una esperienza della vita, che non vuole però adattarsi alla piega assunta dagli eventi dopo la Rivoluzione Francese. Quando Zanoia si esercita nella orazione sacra o nella commedia tardo goldoniana si ha netta l'impressione di una vivacità di spirito che non necessariamente conveniva alla figura di intellettuale di regime che egli poteva a prima vista rappresentare. Di qui forse la sua capacità di muoversi in settori non omogenei, di qui forse l'alternarsi fra atteggiamenti discordi, che paiono addirittura non facilmente congiungibili.
 

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