Una storia dorata. L’oro nell’arte di natale dalle icone al Novecento
di Chiara Gatti
Dalle porte regali dei Bizantini fino alla dimensione cosmica di Lucio Fontana l’oro è simbolo, allegoria, sacro. E costituisce un vero e proprio spazio nell’arte. Il libro ricostruisce attraverso i secoli una storia di questo colore che rappresenta l’immateriale: quasi un colore che non c’è e che apre la mente verso i luoghi dello spirito. Da Giotto a Gentile da Fabriano, da El Greco a Klimt, da Wildt a Rothko, dipinti e sculture dorate tradiscono la grande ossessione dei maestri per la rappresentazione dell’invisibile. Non soltanto a Natale. Pp. 96, euro 12.
Un brano del libro
«L’oro non è un colore. Non esiste nello spettro della luce bianca. Non c’è nell’arcobaleno e nei toni dell’iride. L’oro non ha sfumature, non si mescola e non si scompone. L’oro è nativo, puro, assoluto, incorruttibile e immutabile. Ma, soprattutto, l’oro è un simbolo. Glorioso ed eterno ornava la cima delle piramidi votate alle divinità solari, mitizzò il vello degli Argonauti e bagnò la pelle algida di Danae quando Zeus la irretì, sotto le sembianze di una pioggia aurea. L’oro è il sacro che si manifesta in terra, l’invisibile che si fa materia e luce. Nella storia dell’arte moderna, l’oro divampa dai mosaici medievali fino alle ricerche astratte del Novecento, dalle tavole dei primitivi italiani fino ai monocromi degli anni cinquanta. Un lungo filo dorato attraversa i secoli, legando fra loro maestri diversi, da Giotto a Segantini, da Masaccio a Bernini, da Piero della Francesca a Lucio Fontana, tutti sedotti dalla magnifica ossessione di trovare il vero colore dello spirito e di dare forma all’infinito».
Il Natale del 1833
di Alessandro Manzoni
con un racconto di Mario Pomilio e testi di Alessandro Zaccuri e Mauro Novelli
Il 25 dicembre del 1833 per Manzoni è una data tragica: dopo lunga malattia e sofferenza muore la moglie Enrichetta Blondel mettendo a dura prova la sua fede e pochi mesi dopo muore la figlia primogenita da poco sposata con Massimo d’Azeglio. In una lettera scrive: «Veggo ora che la sventura è una rivelazione tanto più nuova quanto è più grave e terribile». Cercando una risposta nella letteratura scrive Il Natale del 1833, con un presepe senza idillio. In occasione del 150° anniversario della morte un’antologia unica nel suo genere sul Natale con i testi più belli dell’autore dei Promessi Sposi. Pp. 104, euro 12.
Un brano del libro
«Confesso ch’io avevo altra volta creduto compatir degnamente agli altrui, e mi pareva che dal sentimento dell’amore fosse agevole immaginare il sentimento della perdita; ma veggo ora che la sventura è una rivelazione tanto più nuova quanto è più grave e terribile: e la carità di V. A. ha potuto essere verso di me così pia, così efficace, così intelligente, anche perchè era stata pur troppo messa alla prova. Quanto è vero che la forza, la vera forza non si può avere che di lassù donde è venuto il colpo!»
Le mie Natività
di Federico Zeri
Le più belle Natività secondo Federico Zeri: dodici famosi capolavori scelti e commentati da un maestro indimenticato di critica d’arte. Sa Giotto a Correggio, da Tintoretto a Tiepolo, da Botticelli a Velázquez (con riproduzioni a colori), Zeri ci accompagna alla scoperta di quanto sia artistico il mistero del Natale. Pp. 64, euro 12
Un brano del libro
«Ho scelto queste dodici Natività basandomi sulla qualità delle opere e la diversità dell’impianto e ho tenuto presente il contenuto sacro, perché ci possono essere capolavori assoluti privi però di autentica religiosità. Ciò avviene quando sul sacro prevale l’interesse formale e stilistico. Quale amo di più? L’Adorazione dei magi di Velázquez: opera inaudita, con quelle mani, le mani della Madonna, che sono le mani di una donna che lavora i campi, la donna nella quale Dio si è incarnato».
Inni natalizi
di sant’Ambrogio
con le incisioni di Albrecht Dürer
«Grande è questo carme, nessun altro lo supera in potenza; attraverso quei canti quotidiani di tutta la bocca del popolo ognuno gareggia nel desiderio di confessare la sua fede»: così Ambrogio, il grande vescovo di Milano vissuto tra il 334 (o 340) e il 397, rispondeva ai detrattori parlando dei suoi inni, un’opera tuttora celebre e ricca d’interesse. «Si può dire per Ambrogio che la sua poesia è anche nel suo stile e il suo stile ha la suggestione evocativa, l’eleganza spirituale della grande, genuina poesia classica» (Carlo Carena). Edizione con testo originale a fronte. Pp. 64, euro 12
Un brano del libro
Nella notte della Natività
Volgiti a noi, tu che guidi Israele,
tu che t’assidi sopra i cherubini,
mostra ti al cospetto di Efraim, desta
la tua onnipotenza e vieni a noi.
O redentore dei popoli, vieni,
della Vergine rivelaci il parto;
ogni età della storia stupisca:
a Dio solo s’addice un tal parto.
Non nasce da seme di creatura,
ma per arcano soffio dello Spirito
il Verbo di Dio si fece carne
e germogliò come frutto d’un grembo.
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