Di seguito il testo della Laudatio di Giovanni A. Cerutti
FRANCESCA RIGOTTI
Premio Fondazione del Centenario della Banca della Svizzera Italiana - Edizione 2020
«Credo che il fascino particolare del pensiero di Francesca Rigotti risieda nell’essersi formato – e dal continuare ad alimentarsi - dalla confluenza di due prospettive apparentemente distanti, quali quella che interroga le questioni fondanti della politica e quella che indaga le dimensioni della vita quotidiana, con particolare attenzione a significati e usi di quelle che lei stessa ha definito con espressione decisamente felice piccole cose.
È allo scavallare del secolo, e del millennio, che il secondo filone di pensiero incomincia ad affiancarsi al primo, che a quel momento, nell’arco di venticinque intensi anni di lavoro, aveva già allineato titoli significativi quali Metafore della politica, Il potere e le sue metafore e L’onore degli onesti. Un percorso segnato dal magistero di John Rawls, incontrato grazie alla lezione di Salvatore Veca, che più di ogni altro lo ha introdotto e adattato al contesto italiano, con l’intento principale di mutare il paradigma dominante nella sinistra italiana, poco sensibile alla questione dei diritti di libertà e ancorata a una visione che traduceva – e, ahimè, ancora traduce - la tensione all’eguaglianza in mortificazione degli spazi individuali a vantaggio dei soggetti collettivi, finendo per declinare l’anelito alla giustizia sociale senza tenere conto del concetto di equità. Su questo sfondo, mai venuto meno nello sviluppo del suo pensiero, benché non abbia mai bordeggiato gli stilemi della filosofia analitica, Francesca Rigotti ha progressivamente costruito un percorso originale, selezionando temi e metodi di ricerca con grande creatività e particolare attenzione alla loro salienza.
Anche se questo percorso è iniziato in controtendenza, lontano dal centro della scena; come, d’altra parte, avviene quasi sempre per le imprese più significative, di qualsiasi natura esse siano. Quando, nel 1999, uscì per i tipi dell’editore bolognese del Mulino La filosofia in cucina, infatti, il piccolo libretto venne interpretato dai più come una digressione, colta ed erudita, deliziosa e istruttiva, ma pur sempre una digressione. Tanto che l’editore la pubblicò nella collana Intersezioni, una collana sperimentale e di frontiera, ma anche una collana dove collocare testi dal profilo disciplinare incerto. E invece, libro dopo libro, è stato proprio grazie all’innesto di questo percorso di riflessione nel suo mondo filosofico che Francesca Rigotti si è affermata come una delle voci più interessanti e originali del panorama filosofico contemporaneo, dando forma passo passo a uno sguardo ben riconoscibile sul nostro mondo.
Il legame, presto diventato intreccio, tra queste due prospettive ha preso le mosse dalla definizione di un modo di filosofare imperniato sull’indagine delle metafore e del mondo di significati che evocano, mutuato dagli studi e dalla riflessione di Hans Blumenberg, di cui, tra l’altro, ha tradotto il fondamentale Naufragio con spettatore. Proprio ispirandosi a questa prospettiva, dopo la monografia dedicata allo studio dell’idea di progresso in Condorcet, Francesca Rigotti ha incominciato a concentrare i suoi interessi di ricerca sull’analisi delle metafore nel linguaggio politico. Questa lunga e accurata riflessione era confluita nei due lavori successivi, sopra ricordati, in cui venivano raccolte e indagate le metafore che più di altre si erano depositate nell’uso, facendo emergere le strutture di pensiero che di fatto orientano l’azione, senza per contro essere esplicitate e giungere, così, al livello della consapevolezza. Un metodo potente, in considerazione del fatto che porta alla luce meccanismi che, proprio perché reconditi, non sono oggetto di indagine critica, finendo per venire considerati naturali. Mentre, al contrario, naturali non sono, bensì il risultato di processi storici e sociali, nei quali si combinano infinite variabili. Il fatto è che sono i nostri modi di pensare irriflessi la forza cruciale che muove il mondo, non il calcolo o la supposta razionalità effettiva, che da essi dipendono. E nemmeno gli interessi o, deterministicamente, la posizione occupata nella stratificazione economico-sociale, anch’essi soggetti alla percezione che di essi si ha, per cui nelle diverse epoche storiche sono mutati scale di valori, comportamenti e modi di agire. Ma, dato che tutti i modi di pensare che si avvicendano nella storia si depositano nel linguaggio, prodotto sociale per eccellenza, ma anche luogo dell’invenzione individuale, l’indagine avvertita e sapiente della sua natura e la ricostruzione dei modi in cui si sono formate parole e immagini metaforiche sono in grado di renderci più avvertiti dei criteri e delle procedure attraverso cui leggiamo il mondo.
Nel processo di elaborazione sempre più consapevole e sicuro di questa prospettiva di analisi, l’osservazione che gran parte del linguaggio della teoria filosofica proviene dal linguaggio quotidiano - e che, dunque, origina dall’esperienza quotidiana - rappresenta un passaggio decisivo nella definizione della voce filosofica di Francesca Rigotti, segnato dalla pubblicazione nel 2002 del Filo del pensiero, sempre per i tipi del Mulino, e sempre nella collana Intersezioni. Dalla constatazione della frequenza con cui l’attività del pensare, le sue modalità di svolgimento e i risultati cui giunge, è restituita attraverso immagini e procedimenti desunti dagli usi del filo e dalla pratica del filare, giunge a mostrare quanto l’attività stessa del filosofare si appoggi su concezioni e modi di ragionare forgiati da esperienze altre dal pensare in sè, e che tali esperienze sono legate agli aspetti più comuni della vita quotidiana. Si apre, così, un terreno di indagine che si alimenta della capacità di individuare l’infinito potenziale di pensiero che si annida nelle pieghe più riposte della quotidianità, a partire dagli oggetti di uso più comune, le piccole cose, appunto. Terreno di indagine comunemente considerato sideralmente estraneo all’idea stessa del filosofare, inoltrandosi nel quale, invece, Francesca Rigotti ha rifinito ulteriormente il suo metodo di analisi, innervando i contenuti astratti e universali desunti dalla riflessione filosofica, con le vicende concrete e puntuali desunte dalle storie individuali narrate nella letteratura, nel cinema, nelle canzoni, e, in generale, in tutte le forme in cui si manifesta l’espressività umana.
Riprendendo una pregnante definizione di Salvatore Veca, credo si possa dire che Francesca Rigotti sia una straordinaria coltivatrice di memorie, che attraverso uno sguardo originale e penetrante, costruito con pazienza e perseveranza, continua a darci conto della pluralità delle visioni delle "cose, di noi stessi e del mondo" sedimentate nella tradizione della ricerca filosofica. Uno sguardo che accresce la nostra capacità di comprensione e che si configura come uno strumento essenziale nell’apprendimento della fragile arte di vivere insieme agli altri».
(Giovanni A. Cerutti)
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