«La scrittura in carcere è stata un atto di resistenza» dichiara Faraj Bayrakdar, il poeta siriano che è stato arrestato più volte dal regime di Hafez Assad subendo il completo isolamento dal 1987 al 1993, senza carta né inchiostro per scrivere. In questa raccolta immagina specchi che «potevano / essere acqua pura / puro silenzio / o almeno puro pianto» ma le circostanze li hanno trasformati in «pietra / e il tintinnio del tempo e del luogo / aveva una macchia che somiglia a sangue». Eppure, anche nell’assenza dal mondo e nella crudezza della detenzione, il poeta pensa che «un uccello / basta / perché non cada il cielo». Con la stessa fede incrollabile nell’uomo e nella parola, Bayrakdar, rilasciato nel 2000 e residente in Svezia dal 2005, continua a scrivere e a lottare contro il regime degli Assad, per una Siria libera e democratica. Come scrive lui stesso nel 2015, in uno degli inediti che chiudono questo libro, «il suo senso di giustizia / gli dà un senso di forza / così non s’interroga mai / sul grado di debolezza / che affligge / il dittatore».
Biografia dell'autore
Faraj Bayrakdar

Nato nel 1951 in Siria, Faraj Bayrakdar ha iniziato a scrivere poesia a dodici anni e a pubblicarla a sedici. Ha studiato Letteratura araba classica e moderna all’Università di Damasco, fondando con altri studenti una rivista culturale ostile al regime di Hafez Assad. Questo gli è valso, nel 1978, l’arresto da parte dei servizi segreti dell’aeronautica militare e una detenzione di alcuni mesi. Il giorno dopo il rilascio è stato arrestato di nuovo, stavolta dai servizi di sicurezza interna, con l’accusa di affiliazione a un partito di opposizione. Di nuovo è stato rilasciato, come dice lui stesso, «dopo qualche mese e qualche seduta di tortura». Arrestato una terza volta nel 1987, come membro del Partito comunista laburista siriano, è rimasto in carcere per quattordici anni. È stato liberato soltanto nel 2000, grazie alla pressione internazionale esercitata sul regime siriano. La sua vena poetica non si è spenta in carcere. Nemmeno dal 1987 al 1993, quando ha vissuto completamente tagliato fuori dal mondo: senza radio, senza visite, senza carta né inchiostro. A quel periodo risale infatti la raccolta poetica Il Luogo stretto (trad. Elena Chiti, Nottetempo, Milano 2016), a cui fa seguito Specchi dell’assenza. Sette sono, in tutto, le raccolte che ha scritto in carcere. Attualmente residente in Svezia, Faraj Bayrakdar continua a scrivere e a lottare per i diritti dei siriani. Nel 2017 è stato insignito del premio alla carriera del festival internazionale di poesia civile di Vercelli, con la pubblicazione dell'antologia Specchi dell'assenza.
Rassegna stampa per Specchi dell’assenza
Faraj Bayrakdar, la poesia che rompe la gabbia dell'esilio
pubblicato il: 30-01-2019
Da "Il Manifesto", Francesca Del Vecchio su "Specchi dell'assenza" di Farj Bayrakdar
Una moneta, una pallina e una sorpresa in versi un distributore di poesie alla festa di Gogol & C.
pubblicato il: 06-06-2018
Da "La Repubblica" - Milano, Annarita Briganti, su " Specchi dell'assenza" di Faraj Bayrakdar.
Notizie che parlano di: Specchi dell’assenza
«La scrittura in carcere è stata un atto di resistenza» dichiara Faraj Bayrakdar, il poeta siriano arrestato più volte dal regime di Hafez Assad. Premio 2017 al Festival internazionale di Poesia Civile (19 ottobre, Vercelli)
Eventi collegati a Specchi dell’assenza
Libreria Gogol&Company, il 10.06.2018 alle ore 18.00, via Savona 101, Milano