Hilarotragoedia di Manganelli, edito nel 1964, segna l'esordio di un autore quarantenne (nato nel 1922), noto fino ad allora per meno organiche prove letterarie: traduzioni dall'inglese, recensioni e interventi culturali in rivista.
L'opera prima tratta della discesa inesorabile dell'uomo verso l'abisso, e si presenta come una descrizione non tanto dell'inferno, ma piuttosto del mondo sotto specie infernale (o perenne approssimazione all'inferno), garantita dai sensi acuminati di una voce narrante che, dell'inferno che avanza, si esercita a riconoscere persino i più sfuggenti segnali:
"Trasudando e gemendo, la grande macchina del mondo si avvia alla propria distruzione. Tutti gli uomini sono degli apprendisti suicidi. C'è chi indugia il passo fatale: fluttua, si dimentica. E chi, invece, vede nelle cose una "giustapposizione di polvere": ad ogni colpo blasfemo di clacson, già ascolta la tromba del Giudizio. Costui divide in vita la compagnia dei morti, dei non nati, dei misti di vita e di morte; e annota "gli scricchi compitati dai sassi, le smozzicate ragioni degli insetti le confessioni dei vegetali agonizzanti".
Così l'autore presentava il tema del libro in un testo - nato probabilmente come scheda per un catalogo editoriale - rimasto fino a oggi ignoto.