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Breve pazienza di ritrovarti

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Breve pazienza di ritrovarti
titolo Breve pazienza di ritrovarti
sottotitolo Nel gorgo di salute e malattia
autore
Argomento Letteratura (narrativa, poesia, saggistica...) Narrativa italiana
Collana Passio, 52
marchio Interlinea
Editore Interlinea
Formato
libro Libro
Pagine 128
Pubblicazione 2015
ISBN 9788868570293
 
12,00 11,40
 
risparmi: € 0,60
Spedito in 2-3 giorni

Disponibile anche nel formato

L’enigma della malattia, la sua genesi sorda, le sue avvisaglie, il suo erompere lacerante, le alterazioni che produce nella famiglia, il propagarsi delle sue onde sismiche oltre le generazioni: è ciò che sondano i racconti di Giovanni Fontana scritti con stile teso, lirico, a tratti incandescente come la materia trattata. Eccoci dentro il rituale di un pranzo familiare, un incontro d’amore più o meno casuale, la tensione palpabile tra fratelli, la relazione ansiosa tra una madre e un figlio, i silenzi sospesi in un interno domestico o in una camera d’ospedale. Sono storie di infelicità, paure e insonnie, con slanci imprevisti di tenerezza e amore.
 

Biografia dell'autore

Giovanni Fontana

Giovanni Fontana, svizzero di Mendrisio, dov’è nato nel 1959, insegna in un liceo. Ha pubblicato studi filologici (Cantare di Madonna Elena, Accademia della Crusca, Firenze 1992) e saggi su prosatori e poeti del Novecento come Emilio Tadini, Giorgio Orelli e Mario Luzi, cui ha dedicato il volume Il fuoco della creazione incessante. Studi sulla poesia di Mario Luzi (Manni, Lecce 2002). Nel 2015 pubblica con Interlinea Breve pazienza di ritrovarti. Nel gorgo di salute e malattia

Un brano del libro

Vuoto spinto. Aria soffiata dentro un sacchetto che esplode quando lo si schiaccia sul tavolo.
Squamare, scrostare, ripulire; scandagliare, dragare, bonificare.
Me, il mio io.
Verbi all’infinito: senso di pulizia, di benessere. Per uscire di qui.
Il paziente Bruno S. s’impegna d’ora in poi, giorno dopo giorno, a estirpare pazientemente dalla propria cavità interiore ogni residuo del proprio io infetto.
Scavare un cunicolo che dal cervello del paziente Bruno S. porti ai sotterranei di questo ospedale psichiatrico, alla lavanderia e al piccolo obitorio, ai margini del parco e di lì conduca al viale alberato che intravedo dalla mia finestra.
Ancora un aggettivo possessivo e un verbo coniugato: stasera, per punirmi, digiunerò o forse mi chiuderò le dita fra il battente e lo stipite della porta.
Da qualche giorno Bruno S. ha smesso di gridare e non sta più nudo, accovacciato sui suoi escrementi, come nei primi tempi. Nella sua camera d’angolo, protetta da doppi vetri e da una grata attraverso la quale la luce penetra a stento, sta per ricevere la visita dei suoi anziani genitori.
Tutti i sabati, da cinque anni, trascinano i propri abiti fuori moda, le proprie scarpe impolverate, fino al grande parco, ai margini della cittadina di M., appena oltre il liceo classico che il loro figlio primogenito ha frequentato per un breve periodo.
Percorrendo i viali che si dipanano fra aiuole e vivai che i pazienti accudiscono con zelo, cercano di immaginare degli argomenti di conversazione che riempiano il vuoto plumbeo che li attende nella camera del figlio. ‘Conversazione’, del resto, è un termine quasi immorale per definire la pantomima in cui si esibiscono, sul ridottissimo palcoscenico della stanza n. 6, in fondo al corridoio del padiglione Genziana.
Non appena mettono piede sul pavimento di linoleum giallastro, non appena varcano i confini del trapezio delimitato dalla porta, dal letto, dalla finestra e dal corpo nudo del paziente Bruno S., sdraiato per terra sopra le proprie feci, gli spunti che hanno raccolto leggendo i giornali, gli aneddoti che si sono preparati a raccontare – da soli o più raramente in coppia (anche nella disgrazia sono competitivi) – sembrano evaporare dalla loro mente, sospinti dal mantice silenzioso di quella presenza, dallo squallore di quegli arredi, dall’odore di sudore e di medicinali.
(Li vedo dalla finestra: mio padre basso, calvo, con occhiali di tartaruga, la pipa all’angolo della bocca con cui cerca di mascherare l’amarezza dell’ennesima giornata in ospedale, il fascio di giornali sotto braccio; mia madre leggermente curva, i capelli raccolti in una coda di cavallo troppo giovanile, la maglietta girocollo color panna che lascia nude le braccia grinzose, la carne cascante sotto le ascelle; la camminata lentissima, i passi brevi e fragili, in mano un grosso sacco con i dolciumi che cercherà in ogni modo di farmi mangiare, per potersene andare la sera con la sensazione di aver lasciato qualche cosa.
Che cosa provano quando mi vedono? Sentono anche loro – come la sento io ogni volta, anche adesso che non li attendo sdraiato per terra, ma li spio dall’angolo della finestra a doppi vetri – la forza gravitazionale che attrae i nostri corpi, la mano paziente che cerca di cucire i lembi delle nostre solitudini?).

Rassegna stampa per Breve pazienza di ritrovarti

Da “La Lettura - Corriere della Sera”, Paolo di Stefano, su "Breve pazienza di ritrovarti" di Giovanni Fontana

Notizie che parlano di: Breve pazienza di ritrovarti

"Breve pazienza di ritrovarti" è il libro vincitore del Premio svizzero di Letteratura. La premiazione si è tenuta alla Biblioteca Nazionale di Berna il 18 febbraio

È un po’ ingiallito, ma ha conservato la morbidezza dell’organza. Il mio velo da sposa. L’unico che sia mai stato confezionato per me

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