«Buongiorno eccellenza! O posso già chiamarvi senatore?» chiese il giovane, sorridendo malizioso.
«Questa poi!» pensò tra sé l’eccellenza in questione. «Qui a Palermo si sa già ogni cosa ancora prima ancora che avvenga».
Ma dissimulò la sua sorpresa e rispose, con finta ingenuità e malizia: «Senatore? E perché mai, Totò?» Pronunciò il nomignolo del segretario con perfetta inflessione siciliana.
Il cavalier commendator prefetto Antonio Malusardi, infatti, sapeva benissimo, in ogni città dove la strategia del ministro degli Interni volesse spedirlo a raddrizzarne le sorti, adattarsi alla parlata locale, acquisendone in breve tempo l’accento, l’inflessione, l’uso del gergo popolare e dei modi di dire negli ambienti della burocrazia, della “buona società” e della gente minuta. Questa sua capacità mimetica aveva sempre saputo suscitare, nonostante i suoi modi rudi, diretti e un po’ burberi, conditi, nelle giornate “no”, da una buona dose di mutria piemontese, la simpatia dei superiori, dei parigrado, dei subordinati e della popolazione locale.
«Non so… me l’ha detto questa mattina un passerotto, che è venuto a beccare le briciole della colazione» spiegò con trattenuta euforia l’impeccabile Salvatore, trentenne dalle belle speranze, fedelissimo segretario del prefetto. «Sapete, eccellenza, i passeri di Palermo sono sempre ben informati, sanno dai loro colleghi di Roma le notizie in anteprima e se le passano con grande rapidità. Sono come il telegrafo…» concluse, arricciandosi il baffo destro.
Malusardi rise piano, poi si accarezzò la barba, come faceva sempre nei momenti delicati, quando cercava una scorciatoia per togliersi d’imbarazzo. Bisognava pur rispondere qualcosa a quel giovane, allegro come era lui alla sua età, e che aveva il potere di fargli accettare qualunque impertinenza. L’occhio gli cadde sul biglietto azzurro che giaceva, eccitante come una promessa, sul vassoio d’argento che il segretario aveva appoggiato sulla scrivania.
Allora capì.
«Ah, testa quadra d’un Totò!» esclamò di ottimo umore.
Aprì il telegramma. Le mani gli tremavano, come raramente gli succedeva, e lesse la notizia, che il Consiglio dei ministri gli comunicava ufficialmente, della sua nomina a senatore del Regno, in base allo Statuto fondamentale e su proposta di Giovanni Nicotera, ministro degli Interni a cui, da poco, era succeduto Francesco Crispi.
«Passerotto, eh?» berciò all’indirizzo del segretario che fingeva la più compunta indifferenza. «Ma dunque, Salvatore, sapete leggere attraverso i sigilli? Possedete poteri magici? Andate via, e per oggi non fatevi più vedere: ho già esaurito la mia pazienza, con voi!» finse di infuriarsi all’indirizzo del segretario che, a sua volta, simulò di battere in ritirata in preda al terrore.
Ogni tanto, nelle rare pause dallo stress che il lavoro gli concedeva, il prefetto Malusardi si permetteva il lusso di riposare la mente nella contemplazione dei risultati eccellenti che quasi sempre conseguiva. Allora amava scherzare con i suoi collaboratori, che imparavano a conoscerne anche il lato burlone, dopo averne apprezzato, operando con lui, il rigore, la tenacia, il coraggio, la lucidità, il patriottismo e la profonda umanità.