Si può provare l’orrore o l’ebbrezza della solitudine. Gracchia un citofono, cigola un cancello; da una parte uno accoglie, dall’altra uno chiude. Una casa può essere piena di voci o svuotata dal silenzio.
Chi ama la solitudine non ama contare. Costruisce un totem sul numero uno, negando che subito dopo vengono il due, il tre, i molti. Il solo vuole rimanere solo: vuole essere un centro di energia semplice, capace di creare l’universo ed essere nulla al suo interno. A volte si crede un dio.
Questi uno sono monadi che non vivono da eremiti. Spesso sono riuniti dal caso in appartamenti, palazzi, condomìni che sono perfetti agglomerati di numeri uno; qualche volta interagiscono, ma si influenzano poco. A loro modo possono essere felici, perché riescono a vivere isolati, ma non distratti.
Le vite distratte sono quelle che spostano lo sguardo; sfuggono allo specchio, cercano di non pensare a ciò che vorrebbero vincere: la miseria, la noia, la sofferenza, la morte. Che abbaglio! La distrazione illude di condurre con sé il divertimento e il sorriso; ma, a lungo andare, incupisce il pensiero, cancella l’ascolto, interrompe il dialogo.
L’uno distratto si sente oppresso dagli altri numeri che vogliono irrompere nella sua vita e buttarlo giù dal totem. Con il due può anche convivere, delimitando abilmente gli spazi, i tempi, persino le emozioni; quando compare il tre, l’unico modo di salvaguardare la propria solitudine è eliminarlo. Se però giunge la moltitudine, il solitario non ha scampo: i molti, pian piano, prenderanno il sopravvento.
Non si può dire a priori se i distratti si trasformeranno in attenti, gli orsi in amici, i numeri uno in padri e madri. Forse i soli rimarranno soli e i tanti, isolati, tra di loro; forse si sarà creata una storia nuova. Bisogna seguire da vicino le vicende di un insieme e provare a capire perché, accaduto qualunque evento, i magneti delle vite distratte iniziano a vibrare in cerca del loro opposto, cioè le vite piene.