Poesia di parola e sulla Parola questa di Vincenzo Leotta nella nuova eppure antica raccolta La cognizione elementare, che potrebbe assomigliare a un Curriculum vitae di memoria reboriana, determinando anche la sua posizione all’interno della storia letteraria. Per Leotta sono proprio le verità che sfuggono alla dea ragione a rappresentare pienamente l’essere, quelle che il razionalismo ottocentesco aveva relegato nella sezione delle cose “inutili” e ricondotto alla stagnante melassa di un’epoca ormai chiusa. Restituire il ruolo primario alle scienze dello spirito, invece, è lo scopo di questo libro, che registra il punto di partenza della sua esperienza: la fiamma che sfugge alla pura razionalità e restituisce al poeta la doppia vista dettata dal “sentimento”, animata da quel vento che gli antichi chiamavano ánemos. La spia di tali intenzioni sta nel linguaggio d’apertura della “cognizione elementare”, un mormorio sommesso, come una preghiera, una litania della parola e sulla parola, che deve riportarci al principio, al Verbo primigenio, che per Leotta, studioso di lingue greche e latine, significa un fiato ricolmo di significati che nessuna tradizione razionale può spiegare.
Biografia dell'autore
Vincenzo Leotta

Vincenzo Leotta, nato a Barcellona di Sicilia nel 1939, da molti anni risiede a Terme Vigliatore (Messina). Già ordinario di materie letterarie, latino e greco nei licei classici, alterna la poesia con recensioni e saggi su poeti e scrittori del Novecento, prevalentemente siciliani, riuniti in parte nel volume L’inverno di Bartolo Cattafi e altri studi, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1999. Ha curato, insieme con Giovanni Raboni, una ricca antologia mondadoriana delle poesie di Cattafi (Poesie 1943-1979, “Lo Specchio”, Mondadori, Milano 1990 e “Oscar”, ivi, 2001). Ha pubblicato quattro volumi di versi: Le parole da noi tradite, prefazione di Walter Mauro, Rebellato, Padova 1978; L’utopia e il silenzio, prefazione di Giovanni Raboni, Lunarionuovo, Catania 1985; Pittogrammi, Edizioni del Leone, Spinea-Venezia 1993 (premio della Presidenza del Consiglio per la cultura 1995 e premio Cattafi 1996); Il roveto ardente, prefazione di Giovanni Raboni, Viennepierre, Milano 2007. Le poesie raccolte in La cognizione elementare comprendono quasi tutta la produzione degli anni settanta, di cui era già apparsa, nel volumetto di esordio del 1978, un’ampia selezione, adesso riproposta largamente modificata nell’assetto, nella titolazione e, talvolta, persino nella stessa sostanziale fisionomia dei testi. Per comodità del lettore, diamo l’elenco dei componimenti ripresentati (espunti: Nella foresta dei segni, I morti, Una rosa tra le spine, Consiglio di un uomo di mare): pp. 17 (solo la prima strofa), 23-27, 32, 34-36, 38-42, 44, 48-55, 59-61, 65-69, 77, 81, 87, 100-101, 104, 107, 114-115, 117, 123-125, 129-131. Le poesie inedite, circa cinquanta di numero, aggiunte per ragioni di omogeneità tematica e stilistica, appartengono allo stesso periodo della elaborazione de Le parole da noi tradite (’73-’75) o agli anni immediatamente successivi (’76-’78) con una sola eccezione: Sulle note “salutari” di Luzi, che è del dicembre 1998, pubblicata, insieme con Una notte del ’78, su “Resine”, XXIX (2008), 15, giugno.
Un brano del libro
Leggendo Gorgia
Ci sarà un altro modo - pensavo
leggendo Gorgia, sofista di Lentini -
per definire l'uomo e le cose
con le parole non basta non si può
andare al fondo scendere nell'anima
si resta alla forma al colore
non si dice il cuore
manca l'accordo tra noi.
E che nome daremo alle cose
quale volto quale misura
noi stessi divisi dalle parole?
Come non ci negheranno l'ascolto
rivoltandosi contro?
A condannarci saranno esse, le parole
da noi tradite.
Così pensavo
leggendo Gorgia, sofista di Lentini.
Ci sarà un altro modo - pensavo
leggendo Gorgia, sofista di Lentini -
per definire l'uomo e le cose
con le parole non basta non si può
andare al fondo scendere nell'anima
si resta alla forma al colore
non si dice il cuore
manca l'accordo tra noi.
E che nome daremo alle cose
quale volto quale misura
noi stessi divisi dalle parole?
Come non ci negheranno l'ascolto
rivoltandosi contro?
A condannarci saranno esse, le parole
da noi tradite.
Così pensavo
leggendo Gorgia, sofista di Lentini.