Presente e passato s’inseguono in queste storie tra sentimenti, mistero, spiritualità e introspezione che indagano il trascorrere del tempo in un microcosmo collocato nel Piemonte Orientale, da Novara ai laghi d’Orta e Maggiore fino all’Ossola. In un mondo in cui il passato è sempre in agguato, con i suoi insegnamenti e le sue premonizioni, tra fantasmi benigni e vendette postume, burle colossali e vicende d’amore impossibili, fanno capolino personaggi di oggi e di ieri, reali e storici, persino mitologici: dalla Sibilla Cumana a Petronio, da fra Dolcino e Margherita a Abelardo e Eloisa, al monaco Guglielmo da Volpiano e fino a Cicerone. La memoria riesce a mutare il rapporto fra realtà e sogno, dà nuova vita e luce a fatti scomparsi o perduti, facendo affiorare anche cose che sono state volutamente negate e allontanate da noi. E soprattutto emergono il luccichio delle acque del lago, il fascino di un monastero silenzioso, la pianura con le cascine e i personaggi da osteria, la montagna con i panorami da pittori, in una narrazione lirica che è un omaggio dell’autore, Renzo S. Crivelli, al territorio novarese natio.
Biografia dell'autore
Renzo S. Crivelli

Di Renzo Crivelli Interlinea ha pubblicato La regola di Trémaux (2007) e Il fantasma del palazzo e altri racconti (2019).
Un brano dal libro
La “casa” era in realtà un palazzo, una costruzione massiccia che si snodava su due lati, con un frontone imponente. Stava abbarbicata sulla sommità di un’allea e guardava, dalla lunghezza dei suoi balconi, verso le Alpi. Il suo timpano triangolare la faceva sembrare un tempio greco e le colonne su cui erano montate le travi di supporto dei piani erano doriche, o forse ioniche, non sapeva. L’impressione che gliene derivò fu quella di un “pachiderma” addormentato, circondato dalla vegetazione. Qualcosa che non sarebbe stato facile risvegliare, proprio perché sprofondato negli strati geologici del passato. E lui, quel pomeriggio d’inverno, aveva fretta di depositare le sue valigie e di tastare un letto il più morbido possibile. Il viaggio dalla Puglia in treno era stato lungo ed estenuante, su vagoni troppo caldi o troppo freddi, mai adatti a un corpo che si adagia, dove possibile, tra cuscini e braccioli sgualciti.
Quando il portone di legno fu aperto ebbe la sensazione di entrare nel ventre di una balena, proprio come Giona. A colpirlo fu una ventata tiepida che proveniva dall’interno. Era il respiro greve del “pachiderma”, pensò, che sibilava da quella
bocca di legno per attrarlo e imprigionarlo ben oltre i tre giorni biblici. Ma la solerzia dell’agente immobiliare lo distrasse subito, mentre la penombra dell’atrio si diradava lentamente, svelando una struttura assai complessa collegata con l’esterno. Di fronte, infatti, scorse un cortiletto quadrato che dava su un’altra ala del palazzo. Poi, indirizzato dall’uomo con un «per di qua, sullo scalone d’onore», si avviò a salire. I gradini, trattenuti da una balaustra di ferro lavorato, s’inoltravano nel piano nobile in tre tratte ortogonali, con alla sommità un lucernario da cui vide pendere le ragnatele di almeno dieci generazioni. Una sorta di stratificazione umana lasciata all’incuria del tempo, su cui si erano posati i pannelli smunti della tappezzeria, che qua e là si mostrava propensa a cedere verso il basso, con spaccature orizzontali a forma di labbra cadenti, come quelle di un anziano che non riesce più a sigillare la saliva.