I So bene cosa fare, se è finita, la giornata autunnale, in sera lenta – dov’è, amor mio, la tua gioia squisita? Con la tua voce musicale, è spenta anch’essa nel novembre della vita!
II Starà accanto alla fiamma luminosa, sopra un sapiente libro, da uomo anziano, mentre l’imposta batte, tormentosa, voltando e rivoltando un foglio, piano: ormai non più poesia, ma solo prosa.
III E i piccoli che dicono in bisbiglio: «Ecco che nel suo greco è sprofondato…» E vanno fuori senza far scompiglio a tagliare fra i noccioli, oltre il prato, l’albero mastro del loro naviglio.
IV E io ci sarò proprio sprofondato, amici – il greco ormai è dappertutto come un gioco di rami, allargato in largo e lungo viale, e io l’ho tutto, fino a dove finisce, camminato.
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V Cornice esterna: noccioli fruscianti, dentro, la volta sia apre sveltamente, e dietro a quelli, alberi importanti: e scendiamo in Italia finalmente, e a gioventù, per verdi digradanti.
VI Andrò dovunque io sarò portato, di chi mi guida io non ho timore: paese–donna, amato, non sposato, dai paesi maschili nel cui cuore da sempre giace, mai dimenticato!
VII Guarda com’è in rovina la cappella, alla metà di quella gola alpina! Ed è una torre, lì, sè proprio quella, oppure un mulino, o una fucina, lì, tutta solitaria e poverella?
VIII Si svolta, e siamo al centro del creato, intorno a noi foreste dense e cupe, e come il filo d’acqua è distillato povero e solo giù da quella rupe, nel letto che il torrente ha rovinato!
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