«L’epidemia che ci ha colpito si è manifestata con la violenza dell’imprevedibile» eppure prevedere e decidere il proprio benessere è oggi tra le condizioni principali della nostra società. Uno dei filosofi attuali più lucidi riflette sul dramma del coronavirus a partire dalle parole che usiamo per spiegare questo evento e le sue conseguenze: perché il “futuro” è diverso dall’“avvenire”, il “mondo” dal “reale”, la “scienza” dagli “scienziati”, l’“ottimismo” dalla “speranza”, ma anche perché la modalità del “morire” ci ha atterrito più della “morte” in sé, fino a comprendere che l’autentica “libertà” non consiste nel fare ciò che si vuole. Come ci ha cambiato l’epidemia? Che cosa possiamo fare per non farci sopraffare? «dovremmo essere più seri nel vivere il tempo, che non è mai solo il “nostro tempo”, il tempo delle nostre “urgenze private”», afferma l’autore indicando un atteggiamento per il “dopo” e citando La peste di Camus: «bisogna restare, accettare lo scandalo, cominciare a camminare nelle tenebre e tentare di fare il bene».
Biografia dell'autore
Silvano Petrosino

l'ho divorato! e poi l'ho riletto, per non rischiare di perdere nessun passaggio.
Due soprattutto le idee che mi hanno davvero entusiasmato:
il tempo, dobbiamo imparare a viverlo come storia e non come ora""; riempirlo di pazienza; sfruttarlo per dire cose e fare cose, avere incontri intanto che ce l'abbiamo, il tempo, per non vivere il rimpianto dell'"avrei potuto dirgli, fare ...", certi che è important fare il bene, con la b minuscola. Credo che così lo si possa far diventare "kairòs"!
Il futuro non è l'avvenire: liberare l'immaginazione e liberarsi dell'immaginazione!